Friday, 8 May 2009

Testimonianza su detenzione e trattamento di immigrati in Libia

Il racconto. Tra le reduci del Pinar: meglio morire che tornare lì

"Voi italiani siete buoni, come potete fare una cosa del genere?"

"Li avete mandati al massacro
in quei lager stupri e torture"


Le lacrime di Hope e Florence per i disperati riportati in Libia: i nostri mesi all'inferno

dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO (REPUBBLICA)


Immigrati a Lampedusa

LAMPEDUSA - "Li hanno mandati al massacro. Li uccideranno, uccideranno anche i loro bambini. Gli italiani non devono permettere tutto questo. In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no". Hanno le lacrime agli occhi le donne nigeriane, etiopi, somale, le "fortunate" che sono arrivate a Lampedusa nelle settimane scorse e quelle reduci dal mercantile turco Pinar. Hanno saputo che oltre 200 disgraziati come loro sono stati raccolti in mare dalle motovedette italiane e rispediti "nell'inferno libico", dove sono sbarcati ieri mattina. Tra di loro anche 41 donne. Alcuni hanno gravi ustioni, altri sintomi di disidratazione. Ma la malattia più grave, è quella di essere stati riportati in Libia. Da dove "erano fuggite dopo essere state violentati e torturati. Non solo le donne, ma anche gli uomini".

I visi di chi invece si è salvato, ed è a Lampedusa raccontano una tragedia universale. La raccontano le ferite che hanno sul corpo, le tracce sigarette spente sulle braccia o sulla faccia dai trafficanti di essere umani. Storie terribili che non dimenticheranno mai. Come quella che racconta Florence, nigeriana, arrivata a Lampedusa qualche mese fa con una bambina di pochissimi giorni. L'ha battezzata nella chiesa di Lampedusa e l'ha chiamata "Sharon", ma quel giorno i suoi occhi, nerissimi, e splendenti come due cocci di ossidiana, erano tristi. Quella bambina non aveva un padre e non l'avrà mai.

"Mi hanno violentata ripetutamente in tre o quattro, anche se ero sfinita e gridavo pietà loro continuavano e sono rimasta incinta. Non so chi sia il padre di Sharon, voglio soltanto dimenticare e chiedo a Dio di farla vivere in pace". Accanto a Florence, c'è una ragazza somala. Anche lei ha subito le pene dell'inferno. "Quando ho lasciato il mio villaggio ho impiegato quattro mesi per arrivare al confine libico, e lì ci hanno vendute ai trafficanti e ai poliziotti libici. Ci hanno messo dentro dei container, la sera venivano a prenderci, una ad una e ci violentavano. Non potevamo fare nulla, soltanto pregare perché quell'incubo finisse". Raccontano il loro peregrinare nel deserto in balia di poliziotti e trafficanti. "Ci chiedevano sempre denaro, ma non avevamo più nulla. Ma loro continuavano, ci tenevano legate per giorni e giorni, sperando di ottenere altro denaro".

Il racconto s'interrompe spesso, le donne piangono ricordando quei giorni, quei mesi, dentro i capannoni nel deserto. Vicino alle spiagge nella speranza che un giorno o l'altro potessero partire. E ricordano un loro cugino, un ragazzo di 17 anni, che è diventato matto per le sevizie che ha subito e per i colpi di bastone che i poliziotti libici gli avevano sferrato sulla testa. "È ancora lì, in Libia, è diventato pazzo. Lo trattano come uno schiavo, gli fanno fare i lavori più umilianti. Gira per le strade come un fantasma. La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere "israelita". Lo hanno picchiato a sangue sulla testa, lo hanno anche stuprato. Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l'anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace".

Le settimane, i mesi, trascorsi nelle "prigioni" libiche allestite vicino alla costa di Zuwara, non le dimenticheranno mai. "Molte di noi rimanevano incinte, ma anche in quelle condizioni ci violentavamo, non ci davano pace. Molti hanno tentato di suicidarsi, aspettavano la notte per non farsi vedere, poi prendevano una corda, un lenzuolo, qualunque cosa per potersi impiccare. Non so se era meglio essere vivi o morti. Adesso che siamo in Italia siamo più tranquille, ma non posso non stare male pensando che molte altre donne e uomini nelle nostre stesse condizioni siano state salvate in mare e poi rispedite in quell'inferno, non è giusto, non è umano, non si può dormire pensando ad una cosa del genere. Perché lo avete fatto?".

"Noi eravamo sole, ma c'erano anche coppie. Spesso gli uomini morivano per le sevizie e le torture che subivano. Le loro mogli imploravano di essere uccise con loro. La rabbia, il dolore, l'impotenza, cambiavano i loro volti, i loro occhi, diventavano esseri senza anima e senza corpo. Aiutateci, aiutateli. Voi italiani non siete cattivi. Non possiamo rischiare di morire nel deserto, in mare, per poi essere rispediti come carne da macello a subire quello che cerchiamo inutilmente di dimenticare". Hope, 22 anni, nigeriana è una delle sopravvissute ad una terribile traversata. Con lei in barca c'era anche un'amica con il compagno. Viaggiavano insieme ai loro due figlioletti. Morirono per gli stenti delle fame e della sete, i corpi buttati in mare. "Come possiamo dimenticare queste cose?". Anche loro erano in Libia, anche loro avevano subito torture e sevizie, non ci davano acqua, non ci davano da mangiare, ci trattavano come animali. Ci avevano rubati tutti i soldi. Per mesi e mesi ci hanno fatto lavorare nelle loro case, nelle loro aziende, come schiavi, per dieci, venti dollari al mese. Ma non dovevamo camminare per strada perché ci trattavano come degli appestati. Schiavi, prigionieri in quei terribili capannoni dove finiranno quelli che l'Italia ha rispedito indietro. Nessuno saprà mai che fine faranno, se riusciranno a sopravvivere oppure no e quelli che sopravviveranno saranno rispediti indietro, in Somalia, in Nigeria, in Sudan, in Etiopia. Se dovesse accadere questo prego Dio che li faccia morire subito".
(8 maggio 2009) (Questo articolo è stato scritto è pubblicato da Repubblica.it)


Italy's transport of rescued migrants to LIbya was in violation of international law

On 6 May 2009, the Italian coastguards intervened to rescue an estimated 227 migrants and asylum-seekers, who launched an SOS from their three vessels. The rescue operation followed a dispute between the Italian and the Maltese Government.

The Italian Coastguards did not bring the rescued people in an Italian port but directly in the Tripoli one.

While the Minister of Interior, Maroni, was praising the efficacy of the agreements with Libya and of this rescue operation, and EU Commissioner on Transports, Tajani, also picked it up as an example for the EU (Article in Italian), the UN High Commissioner on Refugees expressed its "deep" concern at this measure:

While no information is available on the nationalities of those aboard the vessels, it is likely that among them are people in need of international protection. In 2008, an estimated 75 percent of sea arrivals in Italy applied for asylum and 50 percent of them were granted some form of protection.

"I appeal to the Italian and Maltese authorities to continue to ensure that people rescued at sea and in need of international protection receive full access to territory and asylum procedures," UN High Commissioner for Refugees António Guterres said.

The incident marks a significant shift in policies by the Italian government and is a source of very serious concern. UNHCR deeply regrets the lack of transparency which surrounded the event.

(see, full UNHCR Press Release)


Human Rights Watch and Amnesty International protested at this action of the Italian Government and recalled that it constituted a violation of Italian international obligations under international refugee law and the respect of the principle of non-refoulement.





Italy a nest of EU 'farm-subsidy millionaires'

Germany has declined to publish its figures on farm subsidies spending

by ELITSA VUCHEVA

Today @ 09:23 CET

EUOBSERVER / BRUSSELS – Companies in Italy received the biggest single payments from the EU's farm subsidies in 2008, with 180 of them provided with more than a million euros, a study released on Thursday (7 May) showed.

Sugar producers Italia Zuccheri and Eridania Sadam were also the only two companies winning more than a €100 million each under the EU's Common Agriculture Policy (CAP), being awarded €139.8 and €125.3 million respectively, according to a study by Farmsubsidy.org – a cross-border network of journalists, reasearchers and campaigners pushing for more transparency in the EU's Common Agricultural Policy.

The only non-Italian company to rank among the top five "farm-subsidy millionaires" was Ireland's Greencore Group – a manufacturer and supplier of food and food ingredients – which came fourth, having received €83.4 million.

Some 165 companies in Spain, 47 in the Netherlands, 38 in Portugal, 22 in Belgium, 21 in the UK and 12 in both Bulgaria and Romania received more than a million euros.

In France – the top overall beneficiary of the CAP, with €10.4 out of the total €55 billion – 142 companies were granted more than a million.

The Doux Group, which sells chicken products worldwide, was the biggest single recipient in the country, with €62.8 million and coming sixth in the overall millionaire ranking.

Altogether, the 707 millionaires received between five and 10 percent of the total amount of the CAP in 2008, said Farmsubsidy.org co-founder Nils Mulvad at a press conference in Brussels. He stressed however that full data from only 18 member states had been taken into account at this stage.

Data from Cyprus, Germany, the Netherlands and Slovakia has not been included because these countries "have not yet published data on farm subsidy beneficiaries or have made it very difficult to access the data they have published," the organisation said.

It explained that information from the Czech Republic, Estonia, Germany, Latvia, Lithuania and Poland would be added to the study as soon as the conversion of the sums into euros is finalised.

Most countries breaching the rules

The research also included an evaluation of member states' transposition of the European Commission's transparency rules that oblige governments to disclose information on farm funds recipients.

Member states had until 30 April to publish information on the beneficiaries of farm subsidies for 2008, but the study found that only eight countries had fully complied with the rules.

Belgium, the Czech Republic, Denmark, Estonia, Finland, Romania, Slovenia and the UK were the only countries to implement the commission's transparency law well.

Ten countries, including Spain and Ireland, but also a number of new member states such as Lithuania, Latvia, Slovakia and Bulgaria, were "clearly in breach of the regulations."

Eight others – France, Greece, Hungary, Austria, Italy, Poland, Portugal and Sweden – presented "important deficiencies, likely to be in breach of the regulations."

The organisation cited Hungary, Ireland and the Netherlands as being among a number of countries "engaging in apparent deliberate obfuscation of their websites," saying that Hungary had presented its data in a "totally unstructured" PDF document of more than 13,000 pages.

Poland was also cited as "one bad example" publishing only the names of the person applying for the subsidies and not of the companies, while the Netherlands was criticised for failing to provide a total amount for each recipient, making it difficult to find out how much a particular Dutch company has received.

Germany bashed

Germany is the only member state refusing to publish its figures, arguing that it has legal constraints due to data protection laws in local districts.

But the European Commission has refused to give Berlin an extension and has said it would start infringement procedures against the country if it does not fall into line.

"All 27 agreed on [the rules] and took this obligation ... You take an obligation, you have to stick to it. It is that simple," said Kristian Schmidt, deputy head of EU anti-fraud commissioner Siim Kallas' cabinet.

He added the commission was "quite disappointed" by Germany's behaviour and its "last-minute second thoughts."

(This article is written and published by EU Observer)


Monday, 23 March 2009

Italian Government expels terrorism suspect to Tunisia and Morocco

Today, 23 March 2009, the Ministry of Interior of the Italian Government announced the accomplished expulsion of two Northern African citizens for presumed reasons of State security (See, Ministry's Press Release). The aliens were investigated for terrorism-related offences. One of them is called Mohammed Essadek, of Moroccan citizenship, and the other Sghaier Miri, Tunisian. They have been repatriated by order of Ministry's Decree with apparent agreement of the Tunisian and Moroccan authorities. No information was given on evaluation of the respect of the principle of non-refoulement, which is doubtful to have been respected as the situation of Mr Miri, for example, seems very similar to the one presented in the case of the European Court of Human Rights, Saadi vs. Italy.

From Repubblica.it, 23 march 2009 (in Italian):

"ROMA - Due nordafricani, presunti terroristi, sono stati espulsi dall'Italia e rimpatriati nei paesi d'origine. Il provvedimento è stato disposto dal ministro dell'Interno Roberto Maroni per motivi di sicurezza e di prevenzione del terrorismo. I due stranieri, indagati dalla procura di Trieste per associazione con finalità di terrorismo internazionale, sono stati rimpatriati con due differenti voli da Roma e Bologna nella serata di ieri.

Si tratta di Mohammed Essadek, marocchino di 39 anni, e Sghaier Miri, tunisino trentaquattrenne. Essadek, secondo quanto si apprende da fonti investigative, viveva a Gaiarine, in provincia di Treviso. Miri era domiciliato a Manzano, in provincia di Udine, dove ricopriva il ruolo di leader della comunità musulmana di ispirazione salafita presente nel Nord-Est.

Il ministro Maroni aveva firmato il provvedimento di espulsione per i due già lo scorso 20 febbraio, ma le autorità del Marocco e della Tunisia soltanto nei giorni scorsi hanno emesso i documenti di viaggio. Ieri è poi stata acquisita dai giudici di pace di Udine e Treviso la convalida dei provvedimenti di rimpatrio, ed è infine arrivato il nulla osta della procura della Repubblica di Trieste.

Essadek è stato rimpatriato dall'aeroporto di Bologna con un volo della Royal Air Maroc; Miri è partito dall'aeroporto di Fiumicino con un volo dell'Alitalia per Tunisi."

Sunday, 22 March 2009

Documentario dimostra Crimini di Guerra e Contro l'Umanità commessi dall'Italia durante il Fascismo

Pubblico sul blog un documentario sui crimini di guerra e crimini contro l'umanità commesse dall'Italia nel periodo fascista in Libia, Etiopia, e Yugoslavia. Tra i criminali di guerra il successore di Mussolini, Maresciallo Badoglio.



Fascist Legacy (part I)



Fascist Legacy part2. (Ita) - Un Eredita Scomoda



Fascist Legacy part3. (Ita) - Un Eredita Scomoda



Fascist Legacy part4. (Ita) - Un Eredita Scomoda



Fascist Legacy part 5. (Ita) - Un Eredita Scomoda

Da MicroMega: "Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943. Particolarmente crudele la repressione delle milizie fasciste italiane nella guerriglia antipartigiana in Montenegro ed in altre regioni dei Balcani. Tali azioni vengono mostrate con ottima, ed esclusiva, documentazione filmata di repertorio e con testimonianze registrate sui luoghi storici nella I puntata del film. Il documentario mostra anche i crimini fascisti in Libia e in Etiopia. Nella II puntata il documentario cerca di spiegare le ragioni per le quali i responsabili militari e politici fascisti -colpevoli dei crimini- non sono stati condannati ai sensi del codice del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Conduttore del film è lo storico americano Michael Palumbo, autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Nel film vengono intervistati -fra gli altri- gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e lo storico inglese David Ellwood."Technorati Tags: , , ,

Sunday, 23 November 2008

UNITED NATIONS BODY ANALYSES ITALIAN DETENTION SYSTEM - ORGANO DELLE NAZIONI UNITE ANALIZZA IL SISTEMA DETENTIVO IN ITALIA


Riportiamo tradotta in italiano la dichiarazione del Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria in seguito alla sua visita in Italia. La traduzione non è ufficiale ed é state effettuata dall'autore di questo blog. Nel caso riscontraste alcuni errori Vi preghiamo di segnalarli all'autore via email o tramite commenti.

We report here the statement of the UN Working Group on Arbitrary Detention on its visit in Italy, translated in Italian. The translation is not official and has been done by the author of this blog. If you find any mistake, please do contact the author by email or by posting a comment.


"DICHIARAZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO DELLE NAZIONI UNITE SULLA DETENZIONE ARBITRARIA ALLA CONCLUSIONE DELLA SUA MISSIONE IN ITALIA


Signore e Signori, buon pomeriggio,


Mi chiamo Asian Abashidze ed ho il piacere di darvi il benvenuto a questo incontro con la stampa tenuto dal Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria al termine della sua visita ufficiale in Italia, iniziata il 3 Novembre e conclusasi oggi.

Innanzitutto desidero presentarvi il Gruppo di Lavoro sulle Detenzione Arbitraria (GLDA). Fu costituito dalla passata Commissione sui Diritti Umani nel 1991. L’attuale Consiglio dei Diritti Umani ha esteso il mandato del Gruppo di Lavoro. Il Gruppo di Lavoro è composto da cinque esperti indipendenti rappresentanti i cinque gruppi regionali delle Nazioni Unite e serventi in capacità personale. Due dei cinque membri del GLDA, io ed il Dott. Garretón, formano questa delegazione ufficiale. A questo proposito, siccome la delegazione era formata da solo due dei cinque membri, vorrei sottolineare il fatto che ciò che vi presenteremo costituiscono considerazioni preliminari. Essi saranno esaminati e deliberati dalla plenaria del Gruppo di Lavoro nella sua prossima sessione, nella quale il Gruppo di Lavoro adotterà un rapporto su questa visita. Il rapporto sarà reso pubblico.

Il Gruppo di Lavoro sulla Detenzione Arbitraria è incaricato di investigare casi di privazione della libertà imposta arbitrariamente o comunque in maniera non conforme agli standard internazionali rilevanti contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nei trattati sui diritti umani e in altri strumenti legali. Come parte del suo lavoro, il Gruppo di Lavoro conduce visite ufficiali negli Stati, su invito dei governi, allo scopo di comprendere meglio la situazione prevalente nel Paese, così come le ragioni dietro a casi di privazioni arbitrarie della libertà in tali Paesi. Gradirei ringraziare a nome nostro il Governo d’Italia per il suo invito.

Il mandato del Gruppo di Lavoro era originalmente confinato a tre categorie di detenzione arbitraria:
- Categoria I: quando è chiaramente impossibile invocare una base legale in giustificazione della privazione della libertà;
- Categoria II: quando la privazione della libertà risulta originata dall’esercizio di diritti e libertà garantite da applicabili strumenti internazionali di protezione dei diritti umani, come la detenzione di persone sulla base della loro religione od opinione politica;
- Categoria III: quando la violazione di norme internazionali relative al diritto ad un processo equo sia di tale gravità da rendere la detenzione arbitraria.

Più di dieci anni fa, la Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite domandò al Gruppo di Lavoro di esaminare anche la situazione degli immigrati e dei richiedenti asilo che siano privati della loro libertà. Questo ultimo aspetto del mandato del Gruppo di Lavoro fu la ragione principale della visita in Italia.

Permettetemi di dire alcune parole sul programma della visita. Nel corso degli scorsi 12 giorni la nostra delegazione ha visitato Roma, Napoli, Catania, Caltanissetta, Cassibile e Milano. In ognuna di queste città abbiamo incontrato le autorità, e fra loro:

- Il Ministero dell’Interno, incluso il Sottosegretario Alfredo Mantovano, il Capo della Polizia ed il Direttore del Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione, nonché numerose prefetture e ufficiali di polizia a livello locale;
- il Ministero di Giustizia, incluso il Ministro della Giustizia e i capi di dipartimento degli affari giudiziari, dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile;
- funzionari del dipartimento di Salute Mentale del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali;
- il Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte di Cassazione e numerosi giudici e pubblici ministeri a Napoli e Milano;
- la Commissione Giustizia del Senato;
- i Difensori Civici competenti per i diritti delle persone private delle loro libertà di Lazio e Campania, nonché della Provincia di Milano.

Abbiamo inoltre incontrato rappresentanti dell’Ordine degli Avvocati, avvocati penalisti, tra cui alcuni specializzati in casi di terrorismo ed avvocati difensori di immigrati e richiedenti asilo, nonché numerosi rappresentanti di organizzazioni della società civile attive nei campi del sistema giudiziario e dell’immigrazione ed asilo.

Forse ancora più degno di nota, abbiamo visitato molti luoghi dove persone sono privati della loro libertà e abbiamo tenuto colloqui in privato con i detenuti. Fra questi luoghi vi sono i carceri di Rebibbia e Poggioreale, un ospedale psichiatrico giudiziario, il dipartimento di salute mentale di un ospedale, istituti per rei di minore età, centri di detenzione di polizia a Napoli, istituti per richiedenti asilo e centri di detenzione ed espulsione per immigrati.

Desideriamo sottolineare che abbiamo goduto in tutti i sensi della più ampia cooperazione da parte del Governo Italiano. Siamo stati autorizzati a visitare tutti i luoghi di detenzione a cui abbiamo fatto richiesta e di intervistare in privato detenuti di nostra scelta, senza alcuna restrizione. Il Governo ci ha provvisto con copia di tutti i documenti che abbiamo richiesto.

Do ora la parola al mio collega e pari, Dott. Roberto Garretón, che presenterà alcune considerazioni preliminari della delegazione del Gruppo di Lavoro che ha visitato l’Italia.

Ci è stato riferito innumerevoli volte nelle scorse due settimane che non può esistere detenzione arbitraria in Italia nel senso di detenzione senza base legale o in violazione di garanzie fondamentali di processo equo. Ci è stato così riferito non solo da funzionari dei ministeri di giustizia e dell’interno, da giudici, pubblici ministeri ed ufficiali di polizia, ma anche da rappresentanti della società civile, generalmente molto critica.

Tendiamo ad essere d’accordo con questa valutazione, ma con alcune notazioni qualificanti. La forza dell’impegno del Governo verso i diritti umani – tra i quali le garanzie di processo equo – è in realtà messa alla prova quando si ritrovi ad affrontare una emergenza percepita o reale. Vi sono almeno tre situazioni attualmente percepite da alcuni come situazioni critiche contrastanti l’applicazione della legge e la giustizia in Italia e perciò richiedenti misure straordinarie:
- la lotta contro il crimine organizzato di tipo mafioso;
- una presunta allarmante crescita di criminalità ordinaria da parte di stranieri residenti in Italia senza permesso; e
- la minaccia post-11 Settembre del terrorismo internazionale.

Nel rispondere ad ognuna di queste situazioni il Governo ricorre a misure straordinarie riguardanti la privazione della libertà. Certamente non si tratta di casi flagranti di detenzione arbitraria, ma sollevano alcune preoccupazioni che discuteremo con i nostri colleghi a Ginevra ed esamineremo nel nostro rapporto.

In merito alla lotta contro il crimine organizzato, abbiamo esaminato la questione del “carcere duro” secondo l’articolo 41 bis della Legge sul Sistema Penitenziario. Ci è stato riferito dal governo, da giudici e pubblici ministeri che questa norma speciale è necessaria per combattere crimini di stampo mafioso in maniera efficace e proteggere la società. Siamo anche a conoscenza del fatto che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ripetitivamente sostenuto che questa forma di detenzione non costituisce tortura, o trattamento inumano o degradante. Rimane, comunque, una certa preoccupazione riguardo il continuo rinnovo di tali misure, anno dopo anno, in molti casi. Abbiamo incontrato un detenuto il quale ci ha riferito di trovarsi nel suo quattordicesimo anno di “carcere duro” secondo l’articolo 41 bis, situazione confermata dall’amministrazione penitenziaria.

A proposito degli sforzi per prevenire la criminalità da parte di stranieri irregolari, il Governo ha adottato una serie di misure che hanno catturato la nostra attenzione:
- arresto obbligatorio e processi immediati o per direttissima (fast track trial) per stranieri che rimangono in Italia in infrazione di un ordine d’espulsione;
- l’emendamento al codice penale che ha reso lo status di straniero presente irregolarmente una circostanza aggravante per ogni reato. In altre parole, se un cittadino italiano e uno straniero irregolarmente presente rubano una macchina insieme, lo straniero riceverà una sanzione penale significativamente più alta dell’italiano. Questa norma solleva preoccupazione.
- il Parlamento sta attualmente dibattendo sulla criminalizzazione dell’entrata illegale nel Paese. A questo proposito, notiamo con sollievo che la proposta di punire l’entrata illegale con misure detentive è stata ritirata.

In merito alla lotta contro il terrorismo internazionale, il sistema giudiziario italiano sta rispondendo vigorosamente a questa minaccia tramite l’investigazione, la prosecuzione e l’imprigionamento di persone coinvolte in attività terroristiche. Secondo informazioni dettagliate forniteci da pubblici ministeri competenti su questi crimini, più di 90 terroristi internazionali sono stati condannati a punizioni detentive in Italia dall’11 Settembre 2001. Questa è una risposta che soddisfa i requisiti “gemelli” del diritto internazionale: proteggere la popolazione contro i crimini terroristi rispettando allo stesso tempo i principi fondamentali del diritto sulla tutela dei diritti umani.

Vi è comunque anche un “lato oscuro” nella risposta al terrorismo internazionale da parte della autorità: stranieri sospettati di terrorismo possono essere e sono rinviati in Paesi dove essi sono soggetti ad un considerevole rischio sostanziale di detenzione arbitraria e di essere soggetti a processi profondamente iniqui, nonché a pratiche di tortura. Tali espulsioni hanno luogo senza un controllo giudiziario efficace. In alcuni casi, stranieri che sono stati processati ed assolti da accuse di terrorismo in Italia sono stati poi espulsi verso Paesi dove sono stati immediatamente imprigionati, con gran probabilità in seria violazione delle garanzie ad un processo equo. Chiamiamo il Governo a riconsiderare questa pratica.

Quando svolge una vista ufficiale, il GLDA è sempre richiamato a dare particolare attenzione alla privazione della libertà di gruppi vulnerabili di persone. Qui in Italia, come in altri Paesi, abbiamo esaminato la detenzione di rei di minore età e di persone che vivono con problemi di salute mentale.

Nelle scorse due settimane abbiamo visitato due prigioni per la detenzione di minori immediatamente dopo l’arresto ed una comunità dove rei minori d’età vivono in surrogazione della pena di detenzione. Abbiamo parlato con alcuni di questi minori che vivono in tali istituti e con le persone in carico di dirigerli, nonché con giudici e pubblici ministeri di tribunali minorili. Siamo molto impressionati positivamente dal sistema di giustizia minorile in Italia. Esso costituisce un’applicazione molto ampia dei principi sul trattamento di rei di minore età contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo e del principio contenuto nell’articolo 27 della Costituzione Italiana che le sanzioni penali debbano mirare alla riabilitazione del reo. L’Italia può servire da modello per molti altri Paesi in tale rispetto.
Alcune persone con cui abbiamo parlato sono preoccupate che il sistema giudiziario minorile soffrirà sostantivi tagli budgetari nei prossimi anni. Tali tagli, si teme, metterebbero in pericolo l’attuale modello e forzerebbero ad una drastica riduzione delle attività nelle prigioni per minori finalizzate alla riabilitazione dei detenuti, nonché la possibilità di ricercare efficacemente alternative alla detenzione per minori in conflitto con la legge. Lanciamo un appello al Governo a continuare a provvedere i mezzi necessari per permettere al sistema di giustizia minorile di funzionare nella maniera esemplare in cui funziona oggi.

Per quel che concerne la privazione della libertà di persone che soffrono di disabilità mentali, abbiamo visitato un ospedale dove trattamento medico obbligatorio viene propinato a pazienti con problemi di salute mentale ed abbiamo parlato con pazienti e medici. Siamo stati impressi molto positivamente dalle restrizioni minime imposte alla libertà dei pazienti e dal prevalente spirito del rispetto per la dignità dei pazienti. La situazione è molto differente negli ospedali giudiziari psichiatrici dove vengono detenute persone che hanno commesso un reato e sono state riconosciute non responsabili sulla base di malattia mentale. Quella che abbiamo visitato era in ogni senso una prigione. Siamo a conoscenza del fatto che nella passata legislatura una commissione istituita dal Parlamento ha suggerito profonde riforme al sistema e vorremmo incoraggiare il Parlamento di inserire questo argomento all’ordine del giorno anche ora.

Come menzionato all’inizio, la problematica più importante che intendevamo esaminare durante la nostra visita in Italia è la detenzione amministrative di immigranti e richiedenti asilo che giungono in Italia senza un permesso o vi rimangono oltre la validità del permesso che possiedono.

Sotto molti aspetti, la risposta delle autorità italiane e della società civile all’afflusso massivo di esseri umani in fuga da situazioni di guerra ininterrotta, persecuzione o disperata povertà alla ricerca di una vita migliore è ammirabile, in conformità con le tradizioni italiane di generosità e volontarismo internazionale. Migliaia di uomini, donne e bambini a rischio di annegamento vengono salvati nelle acque esterne ogni anno, vengono portati in Italia, gli viene fornito trattamento medico, cibo e riparo, ed informazioni sul diritto di richiedere asilo.

Vi sono, comunque, anche alcune significative preoccupazioni dal punto di vista del rispetto dei diritti umani in merito ai centri ove immigrati e richiedenti asilo sono detenuti, in particolare in merito alla privazione della libertà alla quale sono sottoposti. Nel 2006 il Governo istituì una commissione per esaminare la situazione dei centri per persona in attesa di espulsione e per formulare raccomandazioni per migliorare i centri, la loro gestione e il quadro legale nel quale operano. Le raccomandazioni rese all’interno del suo rapporto finale da tale commissione (riconosciuta come la “commissione De Mistura” dal funzionario delle Nazioni Unite incaricato dal Governo a presiederla) rimangono valide e, in larga parte, ancora attendono implementazione. Vorremmo sottolineare tre punti riguardanti la privazione della libertà sollevati nel rapporto De Mistura che alimentano preoccupazione ancora oggi:
- nel primo periodo nei centri di ricezione, che può durare da una settimana a più di un mese, richiedenti asilo vengono di fatto detenuti. La base giuridica per tale detenzione è debole e non esiste controllo giudiziario su questa detenzione.
- Stranieri che devono essere espulsi dall’Italia dopo aver servito una sanzione penale di imprigionamento sono spesso detenuto per altri sessanta giorni in un Centro per Identificazione ed Espulsione per accertare la loro identità e ottenere i documenti di viaggio per il loro rimpatrio, quando tali procedure avrebbero potuto essere completati mentre si trovavano in prigione;
- Alcuni stranieri che per una serie di ragioni non possono essere rimpatriati vengono nondimeno detenuti in Centri d’Identificazione ed Espulsione. Dopo il termine massimo di sessanta giorni di detenzione vengono rilasciati per poi venire presi e detenuti ancora per sessanta giorni in tali centri qualche mese o perfino anni dopo con lo stesso risultato. Abbiamo incontrato molti internati in questa situazione. La loro detenzione è interamente legale da un punto di vista formale, ma non molto ragionevole. Come suggerito anche dal rapporto De Mistura, il Governo dovrebbe promuovere incentivi per il rimpatrio volontario al posto della privazione della libertà che, in molti casi, non raggiunge i suoi fini.


Chiamiamo il Governo ad implementare le raccomandazioni avanzate nel rapporto De Mistura.

In merito alla durata della detenzione nei centri d’espulsione vorremmo sottolineare che il limite di 18 mesi previsto nelle Direttiva sul Ritorno dell’Unione Europea è intesa limitare la durata della detenzione in Paesi che attualmente non prevedono limiti. Certamente non è intesa a incoraggiare Paesi con leggi che stabiliscono limiti ragionevoli, come quello di sessanta giorni in Italia, ad abbandonare le loro buone pratiche."



Per la Dichiarazione in inglese. For the statement in english: CLICK HERE.

Monday, 10 November 2008

Voto di Civiltà















Oggi è un giorno storico per il Trentino.Scrivo per esprimere la mia gioia nell'apprendere dei risultati alle elezioni provinciali e le mie opinioni su di esse. In molti aspetti, queste elezioni marcano un punto importante per la comunità trentina. La mia intitolazione di questo post "Un voto di civiltà" riflette il mio sentimento verso la mia terra e disegna quello che per me constituisce un parallelismo tra queste elezioni e le elezioni nazionali francesi del 2002. Anche là i francesi si trovarono di fronte ad un voto di civiltà: scegliere tra Le Pen e Chirac. Anche in quell'occasione la risposta fu forte.

Premetto che questa volta, e con mio rammarico, non mi sono recato a votare a causa della repentina posticipazione delle elezioni. Ciononostante, confesso che questo avvenimento mi ha tenuto con il cuore in gola.

Il voto di oggi sottolinea un'altra volta la specificità dei Trentini, popolazione a vocazione di tolleranza e solidarietà. Elementi per non votare Dellai ce n'erano, non fosse altro per avere un cambio, al di là del buongoverno che ha garantito in questi anni. Ma di fronte alla sfida di civiltà propostaci dalla candidatura di Divina, esponente di un partito che esprime visioni anche xenofobe ed intolleranti (basti il suggerimento di "treni speciali" per gli immigrati extracomunitari di Boso e dello stesso Divina – vedi "Repubblica.it" del 17 gennaio 2003, http://www.repubblica.it/online/politica/boso/boso/boso.html -, per fare un esempio), la scelta è divenuta unica ed imperativa: il Trentino, terra di tolleranza e solidarietà appunto, secondo la mia opinione non vuole e, per la salvezza anche della sua immagine, non deve essere associato e rappresentato da un partito con quella storia e quei messaggi. I Trentini hanno delle peculiarità differenti dal resto del Nord-est, e d'Italia. I Trentini raccolgono in se stessi i semi di due culture di confine: quella latina e quella mitteleuropa. Questa realtà e questo sentimento di confine (che assicuro da "espatriato" si avverte in maniera particolare quando si ha a che fare con nazioni e culture differenti) marcano una vocazione forte, direi cogente, nei Trentini verso l'incontro, la comprensione ed il rigetto dell'intolleranza.

La mia speranza è che questo voto segni un punto di non ritorno. Un momento in cui il Trentino decida di risolvere i vari problemi d'integrazione che esistono, con un sentimento aperto, come una sfida di crescita. I nostri nonni erano emigranti: non dimentichiamolo mai! Le nostre radici sono salde e sono state costruite nelle sfide della storia che ci hanno reso una realtà unica ed incomparabile col resto d'Italia. Dopo questo no all'intolleranza, possiamo e dobbiamo lanciare una sfida per un Trentino esemplare in Europa, la nostra casa naturale. Un esempio lo siamo stati nel dopoguerra, quando la nostra regione ha rappresentato, e continua a rappresentare, un esempio illuminante di convivenza e solidarietà fra gruppi linguistici differenti (ma non cosi differenti culturalmente). Ora possiamo e dobbiamo costruire una comunità aperta al nuovo ed ai nuovi, con la memoria del nostro passato e le storie dei nostri nonni emigranti nel cuore e nella testa.

Dopo il 9 Novembre, il Trentino può e deve essere un faro in Europa ed in Italia. Questo è un appello che rivolgo al Presidente Dellai, alla nuova Giunta ed al nuovo Consiglio Provinciale. Ancora ed infine, ringrazio di cuore, non sapete quanto, i Trentini che hanno votato domenica. Grazie per questa prova di civiltà. Sono orgoglioso di essere Trentino!

Thursday, 11 September 2008

Processo Fujimori - la responsabilità mediata

Pubblico di seguito l'intervento dell'esperto internazionale Federico Andreu Guzman al processo contro l'ex presidente Peruviano Fujimori. Prossimamente sarà pubblicato un post sulla teoria della responsabilità mediata e la sua importanza.