"Il governo rispetti i diritti umani" - LASTAMPA.it

CARLO LAVALLE *
Nella giornata del 6 maggio tre barconi di migranti al largo di Lampedusa chiedono soccorso alle autorità italiane. Ne nasce un contenzioso aspro tra Italia e Malta per stabilire quale Stato debba intervenire per prestare assistenza, alla fine risolto dall'intervento della Guardia costiera italiana.
Successivamente, dopo una trattativa tra Libia e Italia, il Viminale decide che le persone trovate in mare devono essere immediatamente respinte senza bisogno di accertarne l'identità e perciò, accompagnati da tre motovedette italiane, 227 migranti, tra cui 40 donne, vengono condotti al porto di Tripoli. Secondo il ministro dell'Interno Maroni siamo davanti ad una "svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina" resa possibile dalla applicazione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia ratificato dal Parlamento italiano nel febbraio 2009.
A questo punto però scoppia la polemica. L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati esprime preoccupazione per la sorte dei naufraghi riportati in Libia “senza un'adeguata valutazione delle loro possibili necessità di protezione internazionale”.Il Vaticano per bocca del segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti Mons. Agostino Marchetto parla di “evidente violazione dei diritti umani della persona”.
Per fare il punto sulla vicenda abbiamo chiesto il parere di Christine Weise, neo presidente della sezione italiana di Amnesty International, importante e autorevole organizzazione internazionale non governativa di difesa dei diritti umani.
Il Min. Maroni difende la correttezza dell'operato del governo sul piano del rispetto del diritto internazionale rivendicando il diritto dell'Italia al respingimento dei migranti verso il paese di partenza. Qual'è l'opinione di Amnesty in proposito?
Il respingimento verso la Libia è stato effettuato senza verificare se le persone sulle navi siano fuggite da situazioni in cui il rispetto dei loro diritti e addirittura la loro sopravvivenza era in pericolo. In casi di questo genere, il diritto marittimo internazionale prevede che le persone vengano fatte sbarcare e messe in salvo nel primo porto sicuro. Si tratta di un imperativo umanitario che viene prima di ogni altra considerazione. Inoltre, non è stato verificato se si trattava di rifugiati ai quali sarebbe spettato il diritto di asilo. Negli ultimi mesi, il 75% delle persone migranti arrivate a Lampedusa hanno chiesto asilo e alla metà di loro è stato riconosciuto il diritto di asilo, quindi non si tratta di una pura ipotesi teorica.
In un comunicato Amnesty denuncia la violazione dell'art. 33 della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiati e dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani. A che vi riferite?
L’articolo 3 della CEDU (Convenzione europea dei diritti umani) riguarda il divieto di tortura e di trattamenti disumani, crudeli e degradanti e insieme alla Convenzione di Ginevra del 1951 è una delle basi di quello che nel diritto internazionale è chiamato il principio di „non-refoulement“, cioè il divieto di respingere persone verso paesi in cui la loro vita, incolumità o i loro diritti umani sarebbero in pericolo. In Libia, persone migranti e rifugiate non solo rischiano torture o maltrattamenti, ma spesso vengono rinviate nei paesi di origine dove possono correre gravi rischi. In quel caso di „refoulement a catena“, la responsabilità rimarrebbe comunque dell’Italia che ha respinto i rifugiati in prima istanza.
Fate anche accenno all'intesa tra Italia e Libia criticando la mancanza di trasparenza su alcuni aspetti dell'accordo.
La cooperazione tra Italia e Libia da molti anni è stata caratterizzata da scarsissima trasparenza, per anni non si è saputo quasi nulla. L’accordo dell’agosto 2008 tra Berlusconi e Gheddafi è stato reso noto solo qualche mese dopo la firma, e la ratifica da parte del parlamento è stata rapidissima, consentendo solo una parziale consultazione con la società civile e gli organismi non governativi. Purtroppo quello che è successo è anche il risultato di tale scarsa trasparenza nella cooperazione con la Libia. Un secondo aspetto che critichiamo è il fatto che l’Italia non abbia chiesto alla Libia nessuna garanzia in materia di diritti umani, nonostante la Libia non abbia firmato la Convenzione di Ginevra e non abbia una procedura d’asilo efficiente.
A quali conseguenze si espone il governo italiano per la inosservanza degli obblighi stabiliti dalla normativa internazionale sui diritti umani?
Ci aspettiamo che gli organismi internazionali che più volte in questi anni hanno richiamato l’Italia a tenere conto dei rischi che i migranti corrono in Libia, continuino a porre attenzione a questa prassi. Ad esempio, l‘Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha espresso grave preoccupazione, esortando le autorità italiane a riconsiderare la loro decisione e a far sì che questa prassi non si ripeta.
E' sanzionabile la condotta del governo italiano e quali iniziative intende prendere Amnesty in sede nazionale e internazionale?
Amnesty International in casi come questi segnala le proprie preoccupazioni agli organisimi internazionali sui diritti umani. Continueremo a lavorare con le altre Organizzazioni non governative a tutti i livelli, richiamando l’attenzione dell‘opinione pubblica su questi temi e queste violazioni. Continuerà anche la nostra azione di lobby nei confronti delle autorità italiane. È importante che le nostre richieste siano supportate dall’opinione pubblica perché le istituzioni si rendano conto che in Italia non c’è una volontà compatta della popolazione di esporre le persone migranti a violazioni dei diritti umani. Di questo ce ne rendiamo conto ogni giorno nelle nostre campagne.
* oneGreenTech
(già membro del Servizio Rifugiati di Amnesty Italia, responsabile Servizio Tematiche Internazionali, e membro dell'esecutivo circoscrizionale di Lazio e Lombardia)

No comments:
Post a Comment